venerdì 23 gennaio 2009

....ecco quello che non ci fa vedere....



Pino Maniaci ci ha fornito questo articolo pubblicato sulla rivista "Problemi dell'informazione"
Leggetevelo......

Non è la paura di morire – che pure è lì, dolorosa come una folata di gelo artico al centro dell'inferno – a calamitare le labbra di Pino Maniaci verso il basso, in una smorfia che è il termometro più efficace per misurare lo stato d'animo di un giornalista televisivo antimafia dalle spalle ossute, dall'italiano ruspante e dal coraggio ben saldato con la pazzia. “Il testamento è già pronto – dice, e col pensiero ripercorre gli attimi terribili dei due attentati subiti quest'anno nella sua Partinico, paesino a quaranta chilometri da Palermo – quindi ora posso occuparmi di tutto il resto senza altre rotture di coglioni”. Dal vocabolario giornalistico di Pino Maniaci, le rotture di coglioni sono proprio le minacce che lo tengono sotto la spada di Damocle della mafia. Ma, appunto, non è questo a preoccupare il direttore di Telejato (la tv più piccola del mondo, come l'hanno definita i media). Ciò che gli fa virare la voce verso tonalità più cupe è la vicenda Saviano. Maniaci tiene fra le mani la copia di “Repubblica” con l'intervista di Giuseppe D'Avanzo in cui l'autore di “Gomorra”, qualche giorno dopo l'ennesimo allarme su un piano dei Casalesi per farlo fuori, annuncia la sua volontà di andare via dall'Italia. E scappare da un'esistenza da recluso che lo sta allontanando dalla sua famiglia, dai suoi amici e dalla sua stessa vita. “Questa bolla di solitudine inespugnabile che mi stringe – ha detto al giornale diretto da Ezio Mauro – fa di me un uomo peggiore. Nessuno ci pensa e nemmeno io fino all'anno scorso ci ho mai pensato. In privato sono diventato una persona non bella: sospettoso, guardingo. Sì, diffidente al di là di ogni ragionevolezza”.
È il passaggio dell'intervista che fa muovere le prime parole a Maniaci, 55 anni, ex imprenditore edile, dal 1999 alla guida di questa televisione locale che copre gran parte della provincia palermitana. Come Saviano, Maniaci racconta un territorio dalle dinamiche criminali spietate. Qui, a differenza di quanto avviene a Palermo o Catania, la mafia ha un ruolo quasi feudale. Conosce amici e nemici. Mette letteralmente a ferro e fuoco portoni, automobili e cantieri. E mostra la faccia feroce con la sicurezza che l'opinione pubblica nazionale difficilmente si interesserà delle vicende partinicesi. Una coltre del silenzio che solo quest'anno è stata parzialmente infranta, quando lo scorso gennaio Maniaci, dopo essere stato picchiato da alcuni giovani, tra i quali ha riconosciuto il figlio del boss Vito Vitale, è andato in onda con un occhio nero sul viso e una grande rabbia nella voce. La stessa che colora il suo commento sull'autore di “Gomorra”. “Se io, prima di dirigere Telejato, avessi saputo delle conseguenze cui andavo incontro, sarei andato avanti ugualmente – dice, mentre con le dita indica le dichiarazioni dello scrittore campano – Saviano invece dice l'opposto. Io capisco bene come si sente. E ha tutta la mia solidarietà. Non è facile vivere temendo che il giorno che verrà potrebbe essere l’ultimo. Non è facile riuscire a vivere nella propria terra sapendo che la gente ti guarda come un traditore e ti accusa di essere un arricchito. Per questo spero che l’opinione pubblica non lo lasci solo. Il punto però è che secondo me è un errore fare marcia indietro. Questi sono segnali negativi per la società che mettono in pericolo l'intera lotta alla mafia. Dopo l'aggressione di gennaio, di fronte ai miei tentennamenti, tutta la mia famiglia mi ha detto chiaro e tondo che loro avrebbero continuato a portare avanti il lavoro di Telejato. Così è stato a gennaio, così è stato a luglio, quando hanno incendiato la mia macchina. Siamo sotto tiro ma dobbiamo continuare senza dubbi o paure. Mai arretrare”.
La gravità della situazione si riflette pienamente nelle traiettorie nervose della geografia facciale di Maniaci. Mentre parla, i folti baffi sono tormentati dal continuo aspirare ed espirare dell’immancabile sigaretta. Le rughe, sempre più profonde, delimitano i confini degli occhi, la cui potenza espressiva è malamente filtrata e restituita al mondo dalle spesse lenti degli occhiali. “Ci sono tanti cronisti – dice – che fanno la guerra alle mafie senza essere al centro dei riflettori. Se mandiamo un messaggio simile alla mafia, cioè che l'informazione si arrende alle intimidazioni, è la fine. E per chi resta sul campo la situazione diventa più difficile e pericolosa. Poco importano le passerelle antimafia di Fini e Berlusconi in difesa di Saviano. Proprio loro, che attraverso l'attuale governo hanno fatto i tagli al pacchetto sicurezza. Giusto per capirci, in Sicilia ormai sono i poliziotti e i carabinieri a mettere i soldi per la benzina. Poi ci si chiede perché il lavoro delle forze dell'ordine è sempre più precario e difficile”.
Continua

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